Hallberg “La mia danza è emozione”
“C’è una forza, Dio, la vita, l’universo chiamatele come volete, più forte di me che mi ha sempre spinto a prendere decisioni e a ballare, a sentire la responsabilità della mia vocazione. Non potevo essere pigro ma lavorare duro, vivere le esperienze come delle opportunità”. David Hallberg, 37 anni, un volto e un corpo principesco, del South Dakota, formatosi all’Arizona Ballet School e poi a Parigi, Principal Dancer dell’American Ballet Theatre, dal 2011 primo americano ingaggiato al Bolshoi con la qualifica di “premier dancer”, danzatore ospite all’Australian Ballet, racconta così il suo rientro al Teatro alla Scala con Giselle (17,19, 24/9 ore 20) nella ripresa di Yvette Chauviré, nel ruolo di Albrecht, al fianco di una partner d’eccezione, l’étoile ucraina Svetlana Zakharova. Alto, biondo, longilineo, in piena forma dopo l’infortunio alla caviglia sinistra che, oltre a impedirgli di ballare per due anni e mezzo, gli ha cambiato la vita. In meglio. Una svolta che racconta nella sua biografia di successo: “A body of Work: Dancing to the Edge and Back”.
L’ultima volta ha ballato con Zakharova, alla Scala, nel 2014. Che intesa avete?
“E’ una delle più grandi danzatrici al mondo, ci conosciamo bene, ritrovarci alla Scala, lo dico con sincerità, è davvero un momento speciale perché oggi ci guardiamo con occhi diversi, siamo più vecchi, abbiamo più esperienze ma qualcosa è rimasto uguale: è un’artista che esige molto da sé stessa sempre, ha aspettative alte mentre io, da americano, vivo un po’ più rilassato”.
Che personaggio è il “suo” Albrecht?
“Nel primo atto è così coinvolto dal suo sentimento per Giselle che, trascinato da questa emozione forte, non riflette sulle conseguenze. E’ un po’ superficiale anche se la sua passione è sincera, perché non pensa in profondità alle sue azioni ma nel secondo atto realizza che l’amore può ferire e vive nel rimorso”.
E’ una figura ancora attuale?
“Sì, i personaggi dei balletti sono ancora attuali perché ci sono persone reali che anche oggi muoiono di crepacuore, le emozioni umane sono sempre uguali”.
Dal 2011 è entrato a pieno titolo al Bolshoi sotto la direzione di Makhar Vaziev, come si lavora oggi in questo teatro dove si sono consumati molti scandali, tra i quali l’acido corrosivo in faccia all’ex direttore Sergei Filin?
“Il Bolshoi è una grande famiglia, c’è grande rispetto per i danzatori, stimo molto Vaziev e quando sono tornato dopo l’infortunio mi sono sentito accolto”.
Che insegnamento ha tratto da quel periodo difficile dopo l’intervento alla caviglia nell’estate 2014?
“Ha cambiato la mia vita, prima dell’infortunio non conoscevo il mio corpo e non me ne prendevo cura, lavoravo troppo e la mia caviglia soffriva. Mi sono fermato e sono andato in Australia, a Melbourne, sono scappato dal mondo del balletto e questo mi ha permesso di entrare in me stesso, ho scoperto chi ero come essere umano”.
Con la Scala ha ballato la prima volta a Hong Kong nel 2014, qual è la peculiarità che caratterizza i nostri danzatori?
“Apprezzo in modo particolare il calore italiano, dal punto di vista tecnico sono molto professionali, lavorano duro ed è bello, oggi, vedere le vecchie generazioni mescolarsi con le nuove”.
Ha iniziato a ballare a nove anni sedotto da Fred Astaire, che cosa ammirava di lui?
“Solo oggi capisco perché mi affascinava tanto: per come si muoveva, così fluido, unico, un vero talento”.
Un suggerimento per i giovani?
“Smettere di riprendere le vostre “pirouettes” e metterle su Instagram, non è importante quanto alto si vola o quanti giri si fanno, per diventare “artisti” bisogna cogliere cosa c’è dietro al movimento, mettere l’attenzione su ciò che si fa e non su quello che si raggiunge”.
Pubblicato in “La Repubblica” Milano Spettacoli 15/9/2019. Foto per motivi tecnici diversa.