Strepitoso “Corpo a Corpo” della Compagnia Zappalà Danza


Strepitoso  “Corpo a Corpo” della Compagnia Zappalà Danza
"Corpo a Corpo" di Roberto Zappalà Foto Serena Nicoletti

Il rapporto tra due fratelli, soprattutto quando si tratta di due figure come Caino e Abele, può rischiare una lettura di condanna definitiva tra chi compie il fratricidio e chi lo subisce, tra carnefice e vittima, male e bene. Nel poetico e suggestivo Corpo a Corpo (1° meditazione del progetto su Caino e Abele, marzo 2018) del coreografo catanese Roberto Zappalà, in scena al Festival MilanOltre (10/10), si fa luce, invece, nella bestiale lotta dei due interpreti, i bravissimi Gaetano Montecasino e Fernando Roldan Ferrer, una compassione evangelica che pone i due protagonisti sullo stesso piano; il pubblico non  capisce, paradossalmente, chi è Caino e chi Abele. E’ come se, nello spettacolo, si cogliesse il tema della misericordia di Dio di fronte al più eclatante fratricidio della storia dell’umanità che spezzò, tragicamente, il patto della prima unione famigliare, quella di Adamo e Eva: “il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse” (Gen 4,15). Di fronte alla consapevolezza di Caino  del male compiuto “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!” (Gen.4,13), Dio non lo abbandona.  Zappalà, in Corpo a Corpo, percorre tutti i registri della violenza fisica: a partire dalla scena iniziale con le controfigure, i due giovani boxeurs , con guantoni e caschetti, immersi in una nuvola di nebbia, che  lanciano pugni su uno sfondo di voci, sostituiti poi dai  danzatori, di spalle, illuminati da caldi fari di luce, in posizioni cagnesche,  mentre ringhiano come animali furibondi. I  protagonisti  sfuggono la consapevolezza della violenza elargita, entrambi, in gonne a pantalone color nocciola, uno con la maglietta rossa e l’altro blu, sono sullo stesso livello;  in un gioco di parole alternano frasi “io sono buono, no sono cattivo”, nessuno pare colpevole. Si perdono e si ritrovano, in un simbolico ring lambito dal sale, in carezzevoli abbracci espressi con il linguaggio della “contact improvisation”; danzano, corpo a corpo, con una tenerezza disarmante, accompagnati  dalle musiche di Nick Cave e Johannes Brahms, rievocano, attraverso un linguaggio autentico, le lotte tra fratelli, nell’infanzia. Entrambi hanno bisogno di purificazione e con eloquente poesia, nello struggente finale, i corpi , stremati a terra, uno sopra l’altro, sotto il sacco di boxe, sono lavati da una pioggia di sale. Simbolo di purificazione, di amicizia, alleanza, luce, il sale preserva dalla corruzione, tornano in mente i versetti del Vangelo: <<Voi siete il sale della terra, ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli si renderà il sapore? A null’altro serve che ad essere gettato via e ad essere calpestato dagli uomini>> (Mt, 5-13).

 

 

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"Corpo a Corpo" di Roberto Zappalà Foto Serena Nicoletti

Il rapporto tra due fratelli, soprattutto quando si tratta di due figure come Caino e Abele, può rischiare una lettura di condanna definitiva tra chi compie il fratricidio e chi lo subisce, tra carnefice e vittima, male e bene. Nel poetico e suggestivo Corpo a Corpo (1° meditazione del progetto su Caino e Abele, marzo 2018) del coreografo catanese Roberto Zappalà, in scena al Festival MilanOltre (10/10), si fa luce, invece, nella bestiale lotta dei due interpreti, i bravissimi Gaetano Montecasino e Fernando Roldan Ferrer, una compassione evangelica che pone i due protagonisti sullo stesso piano; il pubblico non  capisce, paradossalmente, chi è Caino e chi Abele. E’ come se, nello spettacolo, si cogliesse il tema della misericordia di Dio di fronte al più eclatante fratricidio della storia dell’umanità che spezzò, tragicamente, il patto della prima unione famigliare, quella di Adamo e Eva: “il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse” (Gen 4,15). Di fronte alla consapevolezza di Caino  del male compiuto “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!” (Gen.4,13), Dio non lo abbandona.  Zappalà, in Corpo a Corpo, percorre tutti i registri della violenza fisica: a partire dalla scena iniziale con le controfigure, i due giovani boxeurs , con guantoni e caschetti, immersi in una nuvola di nebbia, che  lanciano pugni su uno sfondo di voci, sostituiti poi dai  danzatori, di spalle, illuminati da caldi fari di luce, in posizioni cagnesche,  mentre ringhiano come animali furibondi. I  protagonisti  sfuggono la consapevolezza della violenza elargita, entrambi, in gonne a pantalone color nocciola, uno con la maglietta rossa e l’altro blu, sono sullo stesso livello;  in un gioco di parole alternano frasi “io sono buono, no sono cattivo”, nessuno pare colpevole. Si perdono e si ritrovano, in un simbolico ring lambito dal sale, in carezzevoli abbracci espressi con il linguaggio della “contact improvisation”; danzano, corpo a corpo, con una tenerezza disarmante, accompagnati  dalle musiche di Nick Cave e Johannes Brahms, rievocano, attraverso un linguaggio autentico, le lotte tra fratelli, nell’infanzia. Entrambi hanno bisogno di purificazione e con eloquente poesia, nello struggente finale, i corpi , stremati a terra, uno sopra l’altro, sotto il sacco di boxe, sono lavati da una pioggia di sale. Simbolo di purificazione, di amicizia, alleanza, luce, il sale preserva dalla corruzione, tornano in mente i versetti del Vangelo: <<Voi siete il sale della terra, ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli si renderà il sapore? A null’altro serve che ad essere gettato via e ad essere calpestato dagli uomini>> (Mt, 5-13).

 

 

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