Ferri, danzando con la mia Audrey
Tre piccoli cammei danzanti raccontano il lato più intimo e nascosto della mitica protagonista di Colazione da Tiffany, Audrey Hepburn (1929-1993), nel film documentario “Audrey” della regista e musicista inglese Helena Coan in uscita in DVD (euro 14,00) e in download dal 30 novembre in UK e dall’8 febbraio in altri Paesi. A dare corpo alla grande passione e ai sentimenti che l’attrice nutriva per il balletto saranno Alessandra Ferri, icona della danza italiana che interpreta gli ultimi anni della vita di Audrey, Francesca Hayard (Principal del Royal Ballet) che ripercorre gli anni giovanili dei suoi successi hollywoodiani e la tredicenne Keira Moore che la ritrae invece ragazzina. Ad accompagnarle in questo percorso interiore che ritrae un’Audrey un po’ inedita, è il geniale coreografo britannico Wayne McGregor da poco nominato direttore della Biennale Danza di Venezia. Ferri che nel 2007 aveva lasciato la scena ma nel 2013 decise di riconquistarla con una “nuova maturità”, l’abbiamo ammirata, a fine settembre, al Teatro alla Scala, nell’incantevole passo a due Le Parc di Angelin Preljocaj con Federico Bonelli (Principal del Royal Ballet) nel bacio più lungo della storia del balletto, lo stesso con il quale, quest’estate, ha conquistato il pubblico nel suggestivo scenario del Parco Archeologico Nazionale di Scolacium di Borgia, in Calabria. Raggiunta telefonicamente a Londra, la città dove ha coronato il suo successo giovanissima, a soli 19 anni, al Royal Ballet immortalata in una delle Manon più passionali e seducenti del balletto, ci ha raccontato il progetto “Audrey” realizzato grazie anche all’uso di spezzoni dei suoi film, di filmati inediti e della testimonianza di suo figlio Sean Hepburn Ferrer.
Alessandra come ha affrontato questa nuova sfida sulla vita di una donna che è stata simbolo di eleganza, raffinatezza, una vera e propria icona di stile e bellezza con la sua sofisticatezza sbarazzina?
Premesso che la mia presenza e anche delle altre danzatrici sono dei flash, degli attimi simbolici, io rappresento Hepburn negli ultimi anni, quando era Ambasciatrice Unicef fino alla sua malattia, lontana dai riflettori di Hollywood. Alla fine della sua vita che non le aveva risparmiato molte sofferenze (l’abbandono del padre, la guerra, i figli che non arrivavano, la ricerca di un amore vero), aveva raggiunto la pace occupandosi degli altri, come se avesse trovato la sua vera missione.
Non è la prima volta che interpreta famosi personaggi femminili, Eleonora Duse con John Neumeier, Virginia Woolf con McGregor, in che modo si avvicina alle loro vite?
Ne scopro la parte più intima che appartiene un po’ anche a me ed è sempre molto commovente e confortante perché molto spesso si vivono gli stessi sentimenti che sono universali: l’amore, la perdita, la solitudine.
La nomina di McGregor alla direzione della Biennale Danza, ha suscitato molto entusiasmo, come ha accolto la notizia e pensa di collaborare ancora con lui, questa volta a Venezia?
E’ un segnale molto importante perché Wayne, in questo momento, è forse il più famoso coreografo al mondo e averlo è una garanzia di grandissima qualità, è uno dei rarissimi coreografi che non ha bisogno, per essere contemporaneo, di rifiutare la danza classica perché la trasforma. Sono sempre entusiasta di lavorare con lui e alla Biennale lo sarei doppiamente.
La fama di Hepburn esplose nel mondo con Vacanze romane (1953) per il quale vinse l’Oscar ma è stata immortalata in altre pellicole memorabili come Colazione da Tiffany, Sabrina, La storia di una monaca, Gli occhi della notte, c’è un film che ama in modo particolare?
Sicuramente Vacanze romane, un film incredibile, lei è bellissima, pura, trasparente. L’ultima scena la trovo meravigliosa quando lei è alla conferenza stampa e lo vede, lo sguardo tra loro due è stupendo. La ricordo anche nel film Gli occhi della notte nel ruolo di una cieca e lì mi faceva molta paura.
Audrey si esibì accanto a Fred Astaire nel 1957 nel film Cenerentola a Parigi di Stanley Donen dove sfoderò tutte le sue doti di ballerina, nel film Audrey avete riproposto questa scena?
No assolutamente, i balletti del film non hanno niente a che vedere con quello che faceva lei perché sarebbe stato perdente e ridicolo, non riproponiamo Audrey ma semplicemente rendiamo visibili i suoi sentimenti attraverso la danza.
Sarebbe piaciuto anche a lei duettare con Fred Astaire come ha fatto Audrey?
Moltissimo, Fred Astaire è il più grande ballerino mai esistito, ma sarei stata terrorizzata -sorride- è un mito, meraviglioso.
Audrey era molto legata allo stilista Hubert de Givenchy (il famoso tubino nero indossato da Colazione da Tiffany), lei che rapporto ha con il mondo della moda?
Mi piace la bellezza e l’eleganza ma anche sentirmi me stessa senza legarmi a uno stilista in particolare. Ho avuto un rapporto molto bello, qualche hanno fa, con Romeo Gigli, perché rifletteva il mio stile personale.
Sua figlia Matilde ha aperto una linea di vestiti, “Madunina”, un omaggio a Milano, i suoi abiti però li indossa?
Si perché sono molto facili da portare e mi sento a mio agio.
Il 2020 sta quasi per finire, cosa le ha lasciato questo anno così drammaticamente complesso?
Tenendo conto della tragedia che ha colpito molte persone morte per il Covid e altre disperate da un punto di vista economico, sento tuttavia di aver piantato dentro di me dei semi buoni e che è stato un anno inaspettatamente interessante. E’ come se avessimo voltato pagina e anche se non so ancora cosa c’è scritto, penso che questo è bello, provo un senso di gioia perché, quando tornerò a ballare, sarò interiormente diversa. Ho iniziato a scrivere le mie riflessioni sulla danza che saranno pubblicate in un libro nel 2021 in occasione dei miei quarant’anni al Royal Ballet e ho scoperto una felicità immensa a insegnare.
(Mia intervista pubblicata su Avvenire il 28/11/2020)