“We Want It All” entusiasma il pubblico al LAC


“We Want It All” entusiasma il pubblico al LAC
WE WANT IT ALL photo Alwin Poiana

L’impatto con la stupenda compagnia dell’italiano Emio Greco e di Pieter C.Scholten la cui avventura artistica ha superato il venticinquesimo anno di attività, è quello di un’energia potente che invade all’infinito la scena. Merito dell’accurata coreografia e regia di questa coppia creatrice di spettacoli di successo internazionale che, ieri sera, ha presentato, in prima assoluta, al LAC di Lugano We Want It All e dei suoi eccezionali sei danzatori del ICK-Ensemble Amsterdam insieme ad altrettanti giovani talenti dell’ ICK-Next, la compagnia dedicata alle nuove generazioni di autori. In We Want It All ritroviamo alcuni dei finali di celebri lavori che in realtà diventano nuovi inizi, in un ciclo inarrestabile dove lo sguardo dal passato si spinge verso un nuovo futuro in un atto generativo che potrebbe non terminare mai. I danzatori irrompono sulla scena dove è issata una grande bandiera bianca , sul soffitto pendono enormi apparecchi con delle ventole, i movimenti sono sciolti, liberi, dinamici accompagnati dal “sound design” creato da Scholten che ricrea noti brani e ne aggiunge di nuovi. Pezzi rock si alternano ad altri classici, dai Queen a Bach, grida, rumori che creano suggestivi paesaggi sonori, silenzi interrotti, pensiamo alla scena con la danzatrice che canticchia Do Re Mi Fa Sol fino all’ultimo finale in “bianco”, tra bandiere che sventolano al ritmo della canzone  Everything’s Fine, un’antidoto rassicurante dopo lo stress pandemico, dall’effetto placebo. Strepitoso il danzatore italiano Denis Bruno, in pantaloni a righe rosse e blu, figura un po’ circense che, alla tecnica accademica aggiunge un perfezionismo contemporaneo di altissimo livello. Al suo fianco l’energia strepitosa di tutta la compagnia che danza all’unisono un linguaggio coreografico accattivante, puntuale, dinamico. Colpiscono in particolare alcuni movimenti: le mani ripiegate sul bacino mentre i fianchi ancheggiando retrocedono oppure che svolazzano come ventagli; cadute, slanci di gambe e braccia, teste che ruotano, grida, danze quasi tribali in cerchi. Il pavimento accoglie i corpi striscianti, aperti all’indietro, famelici di conquiste territoriali. In We Want It All si passa dalla roboante e aggressiva musica a momenti idilliaci da mondo ultraterreno, con figure indefinite, sospese. Molti i riferimenti ai lavori precedenti di una lunga carriera: Double Points: two (1998), Hell (2006) Popopera (2008), Double Points: Outis (2010),La Commedia, Le Corps du Ballet(2011), Extremalism (2015), Disappearance (2019), il recente Blasphemy Rhapsody presentato, in prima nazionale, al Teatro Comunale di Ferrara, all’inizio di novembre. Emblematico il titolo We Want It All (Vogliamo Tutto) ispirato alla nota canzone dei Queen dell’album The Miracle (1989), forse un invito a riappropriarci delle energie generative di cui ogni individuo è portatore. Inevitabile il ricordo di un altro grande spettacolo Le presbytère n’ a rien perdu de son charme, ni le jardin de son éclat di Maurice Béjart dedicato al leader dei Queen: Freddie Mercury.

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WE WANT IT ALL photo Alwin Poiana

L’impatto con la stupenda compagnia dell’italiano Emio Greco e di Pieter C.Scholten la cui avventura artistica ha superato il venticinquesimo anno di attività, è quello di un’energia potente che invade all’infinito la scena. Merito dell’accurata coreografia e regia di questa coppia creatrice di spettacoli di successo internazionale che, ieri sera, ha presentato, in prima assoluta, al LAC di Lugano We Want It All e dei suoi eccezionali sei danzatori del ICK-Ensemble Amsterdam insieme ad altrettanti giovani talenti dell’ ICK-Next, la compagnia dedicata alle nuove generazioni di autori. In We Want It All ritroviamo alcuni dei finali di celebri lavori che in realtà diventano nuovi inizi, in un ciclo inarrestabile dove lo sguardo dal passato si spinge verso un nuovo futuro in un atto generativo che potrebbe non terminare mai. I danzatori irrompono sulla scena dove è issata una grande bandiera bianca , sul soffitto pendono enormi apparecchi con delle ventole, i movimenti sono sciolti, liberi, dinamici accompagnati dal “sound design” creato da Scholten che ricrea noti brani e ne aggiunge di nuovi. Pezzi rock si alternano ad altri classici, dai Queen a Bach, grida, rumori che creano suggestivi paesaggi sonori, silenzi interrotti, pensiamo alla scena con la danzatrice che canticchia Do Re Mi Fa Sol fino all’ultimo finale in “bianco”, tra bandiere che sventolano al ritmo della canzone  Everything’s Fine, un’antidoto rassicurante dopo lo stress pandemico, dall’effetto placebo. Strepitoso il danzatore italiano Denis Bruno, in pantaloni a righe rosse e blu, figura un po’ circense che, alla tecnica accademica aggiunge un perfezionismo contemporaneo di altissimo livello. Al suo fianco l’energia strepitosa di tutta la compagnia che danza all’unisono un linguaggio coreografico accattivante, puntuale, dinamico. Colpiscono in particolare alcuni movimenti: le mani ripiegate sul bacino mentre i fianchi ancheggiando retrocedono oppure che svolazzano come ventagli; cadute, slanci di gambe e braccia, teste che ruotano, grida, danze quasi tribali in cerchi. Il pavimento accoglie i corpi striscianti, aperti all’indietro, famelici di conquiste territoriali. In We Want It All si passa dalla roboante e aggressiva musica a momenti idilliaci da mondo ultraterreno, con figure indefinite, sospese. Molti i riferimenti ai lavori precedenti di una lunga carriera: Double Points: two (1998), Hell (2006) Popopera (2008), Double Points: Outis (2010),La Commedia, Le Corps du Ballet(2011), Extremalism (2015), Disappearance (2019), il recente Blasphemy Rhapsody presentato, in prima nazionale, al Teatro Comunale di Ferrara, all’inizio di novembre. Emblematico il titolo We Want It All (Vogliamo Tutto) ispirato alla nota canzone dei Queen dell’album The Miracle (1989), forse un invito a riappropriarci delle energie generative di cui ogni individuo è portatore. Inevitabile il ricordo di un altro grande spettacolo Le presbytère n’ a rien perdu de son charme, ni le jardin de son éclat di Maurice Béjart dedicato al leader dei Queen: Freddie Mercury.

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