Entusiasmo all’unisono per la compagnia scaligera in Dawson/Duato/Kratz/Kylian
Corpi plasmati da quattro stili contemporanei diversi che rispondono con rigore, disciplina, passione, flessibilità a questa sfida entusiasmante. Il Corpo di Ballo scaligero, diretto da Manuel Legris, ha regalato al pubblico l’eccellenza interpretativa sul doppio fronte, tecnico ed espressivo, nelle serata Dawson/Duato/Kratz/Kylian (Teatro alla Scala, fino al 9 febbraio) . A partire dal primo pezzo, Anima Animus del coreografo inglese David Dawson, creato nel 2018 per il San Francisco Ballet, sul Violin Concerto n.1 del compositore torinese Ezio Bosso dove i corpi dei ballerini, angeli e demoni, esprimono la bivalenza dell’essenza umana, sospesa tra cielo e terra. Partito dall’idea dei contrasti junghiani secondo il quale “anima” è il femminile e “animus” il maschile, Dawson crea, per i dieci danzatori vestiti in body e calzamaglie bianchi e neri da Yumiko Takeshima, soli, duetti, passi a tre e di gruppo. Movimenti fluidi si compongono in uno spazio abitato da un fondale bianco accecante. Stupende le elevazioni dei corpi femminili, con le ginocchia raccolte al petto, aperte come stelle o allungate, sostenute dalle braccia e le spalle dei danzatori; aeree e sinuose, libellule libere che volteggiano, con spregiudicata lievità, nello spazio. La musica di Bosso alimenta emozioni forti, a tratti struggenti, che Dawson traduce in movimenti veloci e sinuosi, simmetrici, tra affondi ed estensioni delle braccia nello spazio, corse e arabeschi.
Ispirato dal poema Remanso, di Garcia Lorca e dalla musica, Valses poeticos del pianista e compositore, Enrique Granados, il coreografo spagnolo Nacho Duato ha creato un giocoso, lieve, puntuale passo a tre maschile che debuttò, nel 1997, all’American Ballet Theatre. Roberto Bolle, Domenico Di Cristo e Darius Gramada, hanno interpretato, nella recita del 7 febbraio, con leggerezza e rigore, assoli, duetti, terzetti di questo piccolo gioiello del coreografo spagnolo che firma anche i costumi e la scenografia. Il suo stile neo-classico, coltivato nella sua formazione alla Rambert School a Londra poi alla scuola di Maurice Bèjart e a New York, con Alvin Ailey, affinato dalle esperienze come danzatore al Cullberg Ballet e al Nederlands Dans Theater, ritorna in scena con una gestualità intima e divertente.
Il debutto di Solitudes Sometimes del tedesco Philippe Kratz (classe 1985), giovane coreografo in ascesa, cresciuto nella compagnia emiliana di Aterballetto, non poteva mietere maggiore successo confermandone il talento. Dopo il debutto di SENTieri nel 2020 (ripreso in presenza nel ‘21) lo stile di Kratz ritorna alla Scala, questa volta ammaliato dalla musica elettronica di Thom Yorke, frontman del gruppo rock britannico Radiohead e dallo scritto mitologico egiziano l’Amduat (1500 a.c.) dove si racconta il viaggio di rinascita di Ra, il Dio del Sole. Preservando solo una traccia simbolica di questo antico documento funerario, Solitudes Sometimes vede in scena quattordici danzatori capeggiati da Osiride, il camminatore che non esce mai, muoversi in un flusso inarrestabile da sinistra a destra. I fianchi che ancheggiano guidati dalla musica quasi ipnotica di Yorke, in abiti dorati firmati da Francesco Casarotti, conducono l’anima dello spettatore in un limbo di attese fluttuanti come i lori corpi. Entusiasmante osservare i ballerini immersi in questo fiume di emozioni, danzare assoli, duetti, in gruppo, in fila, sospesi tra prese, lifts, pose frontali in un unicum inarrestabile, in perpetua trasformazione, accompagnati dal loop della musica con le scene di Kratz e Cerri che firma anche le luci e le videoproiezioni di OOOPStudio.
Chiude un’altra gemma Bella Figura, creazione del 1995 per il Nederlands Dans Theater, del geniale e poetico coreografo ceco Jiří Kylián su musiche barocche, già in scena alla Scala nella stagione 2008-2009. Un ritorno felice di un pezzo di rara bellezza, sofisticato ed elegante, che inizia in silenzio, con il riscaldamento dei danzatori per poi chiudere le cortine e presentare una danzatrice che tenta di liberarsi dalle stesse e un danzatore, a terra, che si sistema. Vivaldi, Pergolesi, Torelli, Foss, Marcello sono alcuni degli autori scelti per ispirare la danza raffinata di donne e uomini in lunghe gonne rosse, a torsi nudi o in tutine nere e di tulle bordot, impegnati a emanare un’idea di armonia naturale, intrisa di una sensuale delicatezza. I corpi dei ballerini scaligeri respirano l’afflato della vita attraverso movimenti aerei di grande lirismo dove l’uomo e la donna viaggiano, all’unisono.