La danza senza “futuro” di Constanza Macras al Piccolo Teatro
Pubblico tiepido ieri sera al Piccolo Teatro dove ha debuttato The Future dell’argentina Constanza Macras con i suoi dieci danzatori in abiti dai colori sgargianti, in stile anni Ottanta e non solo, della compagnia DorkyPark, co-prodotto dal Piccolo Teatro che ha aperto il Festival Presente Indicativo: per Giorgio Strehler in programma fino al 31 maggio. Un lavoro molto pretenzioso a livello concettuale, dal fascino pop che mescola la recitazione con sottotitoli in italiano di testi della stessa Macras ispirata dal pensiero della femminista Karen Barad dove danza, musica dal vivo suonata dalla Land Berlin e registrata finisce per travolgere i performers in una danza trance infinita e noiosa. I corpi corrono su e giù da due colline coperte di plastica blu (scelte dopo un sopralluogo nelle periferie di Berlino dove stanno nascendo nuovi quartieri urbani), si fermano in cima con il microfono in mano per cantare e recitare “sermoni” all’insegna della fisica newtoniana e quantistica, colpevoli di trascinare l’umanità verso il capitalismo e il bieco materialismo oppure si lanciano in balli anni ottanta per dimenticare il malessere perché l’importante è continuare a muoversi. Un ballerino in slip luccicanti volteggia nello spazio alla ricerca del vero amore ( se esiste…), donne imparruccate con stivaletti, un’astronauta , un’altra chiusa in una vetrina con una pianta passano sul palcoscenico, altre sfilano dentro gabbie o si appendono al recinto a indicare la costrizione forzata in epoca pandemica. E’ un susseguirsi senza tregua d’immagini, di musica, di citazioni ecologiste pseudo filosofiche, fantascientifiche fino all’affondo in citazioni blasfeme dove corpi nudi posano con icone delle religioni (la stella di Davide, Budda, il crocifisso al quale è risparmiato la posa con le ballerine senza indumenti forse solo perché siamo un paese cattolico e hanno preferito sorvolare…). Il futuro? Il Passato? Il presente? Sembra esserci tutto e nello stesso tempo niente quasi l’umanità vivesse appesa al nulla. La guerra che da sempre affligge le varie epoche a partire dall’uomo primitivo fino ai nostri giorni, la paura del conflitto nucleare ma ancora si balla, si corre, ci si muove senza una direzione precisa. Uno specchio folle in cui rivederci tutti? In parte sì ma anche no! Siamo tutti vittime del sistema capitalistico, dei suoi meccanismi perversi, delle guerre che non vogliamo? E se provassimo a uscire da questa logica per diventare protagonisti di vite belle perché ogni giorno cerchiamo la gratitudine per quello che abbiamo e non per ciò di cui siamo privi? Forse un po’ più di umiltà e di riconoscenza verso le nostre vite quotidiane, dal momento in cui apriamo gli occhi (e non è così scontato) fino a sera in cui ci addormentiamo. Forse basterebbe smettere di colpevolizzare qualcuno e cercare ogni giorno un po’ di felicità qui e ora pacificandoci con il nostro passato e con uno sguardo più positivo verso il futuro. Perché rinnegare tutte le dimensioni del tempo? A quale scopo?