Morau traduce in danza con Aterballetto il respiro epico di Morricone


Morau traduce in danza con Aterballetto il respiro epico di Morricone
NOTTE MORICONE6©Piero Tauro

Notte Morricone, ultima creazione del coreografo valenciano Marcos Morau che ha debuttato “indoor”, al Teatro Argentina, a Roma, il 24 ottobre dopo il debutto estivo, all’aperto, al Festival di Macerata, è uno spettacolo affascinante e complesso che traduce in danza il respiro epico e l’intimità del geniale compositore. Ospite di Romaeuropa Festival con repliche per la Fondazione Teatro di Roma fino al 10 novembre, prima della tournée internazionale che lo riporterà, da febbraio, in Italia. Una lunga notte che raccoglie i sogni, la musica, le fatiche, le visioni, le paure, le frustrazioni, di un uomo solo nella vastità del suo mondo sonoro, circondato da tanti “Morriconi”, i sedici spettacolari danzatori di Aterballetto, la compagnia emiliana diretta da Gigi Cristoforetti. Tutti rigorosamente in pantaloni grigi, camice bianche, bretelle e occhiali neri, si muovono come frammenti della sua stessa anima con movimenti repentini, a scatti, ma anche ampi e fugaci. Meteore musicali tratte dai suoi più celebri films: Nuovo cinema Paradiso, C’era una volta in America , The Mission, C’era una volta il West, la canzone Se telefonando scritta per Mina e nel finale Here’s to you che cantò Joan Baez,  brillano e scompaiono per lasciare il posto a suoni elettronici, a tratti stridenti, di Alex Röser Vatiché e Ben Meerwein, a tuoni, voci e a stralci di  domande esistenziali di Morricone.<<Come si fa a comporre una melodia più grande della natura? …Dimmi cosa diranno di me?>>. Morau trasforma le sonorità iconiche di Morricone in un dialogo coreografico che esplora non solo la grandezza del compositore, ma anche la sua vulnerabilità e complessità interiore. Utilizza ogni momento per ricontestualizzare il mito di Morricone, non solo come genio musicale ma come un uomo che, nonostante i successi, continua a cercare risposte  alle domande fondamentali dell’esistenza. Lo spettacolo inizia con un ragazzo sulla poltrona a rotelle che gira sul palcoscenico sotto il riflettore di una luce tra voci e rumori  prima che l’evocativa musica di Morricone s’impone  sulla scena. Ma  Morau è come se volesse distogliere subito il pubblico dalla tentazione di crogiolarsi in quella musica infinita e planetaria, per riportarlo nella complessità di un sogno ancora più grande, il suo, che sa trasformare le note del grande maestro in una danza collettiva di grande effetto ma anche in passi a due romantici come quello tra la danzatrice Estelle Bovay e Matteo Fiorani. L’amore per l’amata moglie Maria che gli ha regalato un ambiente protetto nella loro casa romana, è tratteggiato con delicatezza così come le sue grandi passioni, la tromba dell’amato Chet Baker usata anche come un fucile e il gioco degli scacchi che rappresenta per lui la vita. Molti gli elementi ispirati al mondo del cinema: poltroncine con le ruote, carrelli, microfoni, luci ma anche cuffie, consolle, registratori, una sorta di officina dove lo stesso Morricone appare sdraiato sotto i riflettori impietosi che lo scrutano e  vivisezionano come in una sala operatoria. Ennio e il suo alter ego o forse Giuseppe Tornatore il grande regista che a lui dedicò il docu film “Ennio” e con il quale aveva un rapporto paterno, danzano davanti alla consolle e intorno al pianoforte a coda. I corpi dei danzatori aleggiano nello spazio come i fogli degli spartiti ma a tratti assumono movenze marionettistiche, contratte. Gli sguardi sotto gli occhiali provocano domande, interrogativi subito scalzati da altri movimenti più incisivi : inscenano un rodeo, rovesciando i pantaloni e cavalcando con le fodere esposte, trasformandosi in cowboy surreali che incarnano l’iconografia del western morriconiano. Un puzzle di suggestioni senza fine che avvolgono la mente, il corpo, il cuore fino alla fine dello spettacolo; non si vorrebbe mai smettere di guardare e gustarne ogni attimo. L’entrata in scena dei piccoli, tenerissimi pupazzi “Morriconi”, con i cappellini di paglia, che recitano frasi iconiche del compositore sulla vita, l’amore, il successo, la morte sono disarmanti e commoventi. Un accenno ai Premi Oscar tanto aspettati (ben cinque le candidature prima dell’Oscar alla Carriera nel 2007 e il secondo per la musica del film The hateful eight di Tarantino nel 2016) tra mazzi di rose rosse accolte e rifiutate. Ennio direttore d’orchestra con la bacchetta in mano apre mondi e visioni, il pubblico non fa in tempo a toccarli che Marau ha già aperto nuove prospettive danzanti, accoglienti: sullo sfondo immagini tratte dalle più celebri pellicole, il vinile gracchia, foto con la moglie e i figli,  tutta una vita, intensa, vissuta con umiltà e lungimiranza. I corpi si sono lasciati possedere dalla musica del genio Morricone ma anche dalla stupefacente creatività di un altro grande cuore: l’arte visionaria di un giovane coreografo  che ha creato un’opera complessa per raccontare non solo la grandezza musicale e umana di Morricone ma anche la nostra contemporaneità. Un omaggio non solo all’uomo e alla sua arte, ma al processo creativo stesso per comprendere meglio chi siamo e in quale direzione vogliamo andare.

 

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Morau traduce in danza con Aterballetto il respiro epico di Morricone
NOTTE MORICONE6©Piero Tauro

Notte Morricone, ultima creazione del coreografo valenciano Marcos Morau che ha debuttato “indoor”, al Teatro Argentina, a Roma, il 24 ottobre dopo il debutto estivo, all’aperto, al Festival di Macerata, è uno spettacolo affascinante e complesso che traduce in danza il respiro epico e l’intimità del geniale compositore. Ospite di Romaeuropa Festival con repliche per la Fondazione Teatro di Roma fino al 10 novembre, prima della tournée internazionale che lo riporterà, da febbraio, in Italia. Una lunga notte che raccoglie i sogni, la musica, le fatiche, le visioni, le paure, le frustrazioni, di un uomo solo nella vastità del suo mondo sonoro, circondato da tanti “Morriconi”, i sedici spettacolari danzatori di Aterballetto, la compagnia emiliana diretta da Gigi Cristoforetti. Tutti rigorosamente in pantaloni grigi, camice bianche, bretelle e occhiali neri, si muovono come frammenti della sua stessa anima con movimenti repentini, a scatti, ma anche ampi e fugaci. Meteore musicali tratte dai suoi più celebri films: Nuovo cinema Paradiso, C’era una volta in America , The Mission, C’era una volta il West, la canzone Se telefonando scritta per Mina e nel finale Here’s to you che cantò Joan Baez,  brillano e scompaiono per lasciare il posto a suoni elettronici, a tratti stridenti, di Alex Röser Vatiché e Ben Meerwein, a tuoni, voci e a stralci di  domande esistenziali di Morricone.<<Come si fa a comporre una melodia più grande della natura? …Dimmi cosa diranno di me?>>. Morau trasforma le sonorità iconiche di Morricone in un dialogo coreografico che esplora non solo la grandezza del compositore, ma anche la sua vulnerabilità e complessità interiore. Utilizza ogni momento per ricontestualizzare il mito di Morricone, non solo come genio musicale ma come un uomo che, nonostante i successi, continua a cercare risposte  alle domande fondamentali dell’esistenza. Lo spettacolo inizia con un ragazzo sulla poltrona a rotelle che gira sul palcoscenico sotto il riflettore di una luce tra voci e rumori  prima che l’evocativa musica di Morricone s’impone  sulla scena. Ma  Morau è come se volesse distogliere subito il pubblico dalla tentazione di crogiolarsi in quella musica infinita e planetaria, per riportarlo nella complessità di un sogno ancora più grande, il suo, che sa trasformare le note del grande maestro in una danza collettiva di grande effetto ma anche in passi a due romantici come quello tra la danzatrice Estelle Bovay e Matteo Fiorani. L’amore per l’amata moglie Maria che gli ha regalato un ambiente protetto nella loro casa romana, è tratteggiato con delicatezza così come le sue grandi passioni, la tromba dell’amato Chet Baker usata anche come un fucile e il gioco degli scacchi che rappresenta per lui la vita. Molti gli elementi ispirati al mondo del cinema: poltroncine con le ruote, carrelli, microfoni, luci ma anche cuffie, consolle, registratori, una sorta di officina dove lo stesso Morricone appare sdraiato sotto i riflettori impietosi che lo scrutano e  vivisezionano come in una sala operatoria. Ennio e il suo alter ego o forse Giuseppe Tornatore il grande regista che a lui dedicò il docu film “Ennio” e con il quale aveva un rapporto paterno, danzano davanti alla consolle e intorno al pianoforte a coda. I corpi dei danzatori aleggiano nello spazio come i fogli degli spartiti ma a tratti assumono movenze marionettistiche, contratte. Gli sguardi sotto gli occhiali provocano domande, interrogativi subito scalzati da altri movimenti più incisivi : inscenano un rodeo, rovesciando i pantaloni e cavalcando con le fodere esposte, trasformandosi in cowboy surreali che incarnano l’iconografia del western morriconiano. Un puzzle di suggestioni senza fine che avvolgono la mente, il corpo, il cuore fino alla fine dello spettacolo; non si vorrebbe mai smettere di guardare e gustarne ogni attimo. L’entrata in scena dei piccoli, tenerissimi pupazzi “Morriconi”, con i cappellini di paglia, che recitano frasi iconiche del compositore sulla vita, l’amore, il successo, la morte sono disarmanti e commoventi. Un accenno ai Premi Oscar tanto aspettati (ben cinque le candidature prima dell’Oscar alla Carriera nel 2007 e il secondo per la musica del film The hateful eight di Tarantino nel 2016) tra mazzi di rose rosse accolte e rifiutate. Ennio direttore d’orchestra con la bacchetta in mano apre mondi e visioni, il pubblico non fa in tempo a toccarli che Marau ha già aperto nuove prospettive danzanti, accoglienti: sullo sfondo immagini tratte dalle più celebri pellicole, il vinile gracchia, foto con la moglie e i figli,  tutta una vita, intensa, vissuta con umiltà e lungimiranza. I corpi si sono lasciati possedere dalla musica del genio Morricone ma anche dalla stupefacente creatività di un altro grande cuore: l’arte visionaria di un giovane coreografo  che ha creato un’opera complessa per raccontare non solo la grandezza musicale e umana di Morricone ma anche la nostra contemporaneità. Un omaggio non solo all’uomo e alla sua arte, ma al processo creativo stesso per comprendere meglio chi siamo e in quale direzione vogliamo andare.

 

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