Trilogia dell’estasi secondo Roberto Zappalà

Il primo pezzo, L’après midi d’un faune , di Trilogia dell’estasi del coreografo catanese Roberto Zappalà, su musica di Claude Debussy, che ha aperto la 38° edizione del Festival Milanoltre, è un delicato assolo di meraviglioso stupore nell’assaggio “fisico” della natura circostante. In un rettangolo disegnato come un tappeto orientale il protagonista, lo straordinario danzatore Filippo Domini, con delicate e sinuose movenze, danza, fa capriole, regala effusioni intime ma solitarie e autoreferenziali (non c’è nessuna ninfa da sedurre) davanti a statuarie figure in mantelle nere, con i volti coperti da maschere bianche, a forma di arieti. La musica è avvolgente, il tempo sospeso, il corpo-animale regala virtuosismi liberi ma calibrati. La scenografia di Veronica Cornacchini con Zappalà è pop, alla Lichtenstein, cosi come i costumi: sul lato sinistro e sul fondale, paesaggi metropolitani con una grande siringa, nuvole da fumetto con le pecore, la scritta luminosa “ring” e diversi immaginari musicali: i pezzi techno intermezzano la musica classica. Purtroppo la scena diventa torbida nel secondo momento della serata con Bolero, dove la musica battente di Ravel amplifica, attraverso i movimenti di 14 interpreti incappucciati in mantelle nere con i tacchi e poi nudi, quel “voyeurismo” dal quale il coreografo attinge ispirazione per parlare di un erotismo mortifero e mortificato: l’ultimo film Eyes Wide Shut (1999) di Stanley Kubrick, con la blasonata coppia Kidman-Cruise e la pesante scena dell’orgia. Un pieno di messaggi erotici devastanti e poco costruttivi dove non c’è posto per una sano intreccio di eros e agape. Zappalà ha trasfigurato questo immaginario a passi di danza, con i suoi straordinari giovani danzatori, per aprire volutamente una riflessione sulle miserie della società contemporanea. L’animo è tornato a volare con l’ultimo pezzo di questa trilogia, una rivisitazione convincente, piena di energia e movimenti contagiosi con Le Sacre du printemps di Stravinskij, di cui Pina Bausch ha lasciato al mondo uno dei suoi testamenti più importanti. Terzo e ultimo pezzo della “Trilogia” del coreografo siciliano, ispirata a tre pietre miliari dei Ballets Russes di Diaghilev. Un vero gioiello, un’opera collettiva di grande impatto con la drammaturgia di Nello Calabrò che finisce con un gran colpo di scena: la rete sospesa in alto cade su tutto il gruppo, al centro del palco e lo avvolge come una manta benevola pronta a prendersi cura di ciascuno. Simbolo di eleganza, bellezza e maestosità d’animo, l’angelo dei mari entra nell’immaginario collettivo riportando alla mente il brano evangelico della lettera ai Corinzi “molte sono le membra, ma uno solo è il corpo”. Il sacrificio dell’eletta si trasforma in un messaggio di speranza e non di morte.